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Elsa Peretti, una signora che si definiva artigiana

Firenze, New York, Barcellona, un’esistenza nel segno della libertà e della creazione – «Ho preso ispirazione da sensazioni tattili, forse perché non ci vedo bene»

Elsa Peretti è scomparsa

La sua storia conduce a San Marti Vell, un villaggio medievale catalano vicino Barcellona. Lo ha fatto rinascere dall’abbandono – acquistò qui la prima casa nel 1968. Una cittadella che è workshop, rifugio ed epicentro del suo universo. Qui seguita a creare. Tiffany – per cui è designer di gioielli e oggetti a partire dal 1974 – le aveva rinnovato il contratto per altri due decenni nel 2012.

Da Firenze a New York

Nata a Firenze il primo maggio 1940 in una famiglia alto borghese – suo padre Ferdinando è il fondatore dell’API, Anonima Petroli Italiana –, studi a Roma e in Svizzera, si affranca presto dall’ambito familiare, di cui soffre il conservatorismo. Si mantiene come maestra di sci a Gstaad, nell’Oberland bernese. Dopo un corso di interior design e una collaborazione con l’architetto Dado Torrigiani a Milano, approda nel 1964 a Barcellona. Vi si trova a suo agio, respira indipendenza, malgrado la pressione totalitaria del franchismo. Inizia una carriera di modella. Il passo successivo la vede a New York, in una giornata invernale del 1968, grigia e funestata dallo sciopero generale. La Grande Mela le regala il successo. L’anno seguente inizia a disegnare gioielli per l’amico Giorgio di Sant’Angelo, mentre la sua allure che miscela sensualità e stile aristocratico, modernità e aura rinascimentale – notata da Diana Vreeland e con un ingaggio da Wilhelmina Model Agency –, la porta ad attirare l’interesse di Charles James e sulla passerella sperimentale di Issey Mijake.

Elsa Peretti non amava particolarmente la moda, era terrorizzata dall’idea di posare davanti a un obiettivo

Se ne serviva per trovare il denaro per vivere, visto che viene diseredata dalla famiglia a causa della sua esistenza libera e fuori dagli schemi. Non si sposerà mai. Un sodalizio è l’amicizia che stringe con Halston – Roy Halston Frowick – di cui diviene l’icona e per il quale realizza pezzi di gioielleria dal 1971, anno in cui si aggiudica il Coty Award in questo settore. Un riconoscimento cui ne faranno seguito tanti altri, anche a livello accademico. Con Halston, stilista nel segno del minimalismo – tuniche da dea WASP e drapées – insieme a Liza Minnelli, Victor Hugo, Bianca Jagger e Andy Warhol, balla fino al mattino nei luoghi della NYC nightilife – da Max’s Kansas City a Le Jardin, al Saint, dallo Studio 54 al Paradise Garage.

Nel 1978 Elsa Peretti rompe con Halston

Voleva parlare solo di vestiti – dirà – anche di notte. Non lo capivo più. Eppure quando eravamo soli c’era qualcosa di speciale che vibrava tra noi. Quelli erano i momenti più belli. Eula, illustratore geniale, ragazzo affettuoso, cucinava per noi e talvolta si affacciava Liz Taylor. Halston ricordava che Elsa più che indossare un vestito, lo faceva proprio e lo scolpiva grazie all’arcano della sua personalità e al suo carisma. Si riconcilieranno un paio d’anni prima della scomparsa di lui, che avviene nel 1990. Peretti viene immortalata da Horst, da John Eula, Hiro e Antonio Lopez, da Scavullo e Dalì. Hiro, suo collaboratore, commentava: Sono stato ispirato dal design di Elsa per oltre venticinque anni. Creazioni organiche – puoi sentire la vita che vi pulsa attraverso. La foto in bianco e nero di Helmut Newton che la ritrae in costume da coniglietta di Playboy disegnato da Halston nel 1975, diventa emblema degli anni Settanta nella Grande Mela.

Poi gli anni Ottanta, la trasgressione e la disco music, di Mapplethorpe e Basquiat, della cocaina e del glitter glam

L’esplosione dell’AIDS mette fine a un’epoca e si porta via molti degli attori di questa rappresentazione newyorkese. Le case di Elsa, sparse per il globo, a Roma, New York, Barcellona, sono epitomi di gusto. Con Renzo Mongiardino, altro amico che Peretti ha amato per la capacità di far risorgere antiche tecniche artigiane, dà vita a una dimora dalle suggestioni manieriste a Porto Ercole, sulla costa toscana, dentro un’antica fortificazione. Elsa, lontano da ogni retorica, ha sempre preferito definirsi artigiana, parlando di craftsmanship. Decide di dare un taglio. Lascia New York. Avvertivo che qui tutto era compiuto, spiega. C’era bisogno di un cambio radicale per trovare altre linfe, un diverso nutrimento creativo e spirituale.

Elsa per Tiffany & Co

Per Tiffany & Co., dal 1974, quando firma un primo contratto quale designer indipendente, Elsa Peretti crea oltre trenta modelli di gioielleria, esposti in musei internazionali quali il Metropolitan di New York e il British a Londra. Dapprima si occupa della produzione in argento. La consistenza lunare e specchiante di questo metallo, già impiegato nelle collezioni per Halston, l’aveva affascinata fin da piccola. La chiave di volta della sua produzione è una sofisticata semplicità, un linguaggio essenziale che segue l’andamento anatomico e che cambierà l’idea stessa di gioielleria. Newsweek la mette in copertina nel 1977 per la sua forza concettuale e quella vocazione alla democratizzazione del gioiello che porta avanti con caparbietà. Toccare è importante – refrain di Elsa –, ho preso ispirazione da cose e sensazioni tattili, forse perché non ci vedo bene. Il buon design non richiede nessuno sforzo per guardarlo. Molto viene dalla natura, suo costante riferimento. Le ossa umane – stereometria grafica cui si appassiona da bambina, nelle visite alla cripta dei Cappuccini in via Veneto a Roma –, beans e stelle marine, le collezioni Bottle, Scorpion e Mesh jewelry, l’eleganza ipnotica dei serpenti, il cuore di Open Heart e la mela. Archetipi atemporali e risonanze della classicità, geometria spaziale e mentale che genera superfici levigate da accarezzare. Talvolta si sente vicina agli artisti contemporanei, come Henry Moore, ma accoglie echi anche dall’architettura organica di Antoni Gaudi a Barcellona.

L’ingresso di Elsa da Tiffany & Co. spalanca un’era di innovazione e di design

Peretti si esprime nella fluidità, attraverso un gioco volumetrico e astratto, una sfida all’eliminazione del superfluo. Dai primi anni Ottanta, il suo impegno per Tiffany si espande alla casa, confrontandosi con la porcellana, il cristallo e l’argenteria. Il couturier statunitense Ralph Rucci, che ne ammira il lavoro e la personalità, sottolinea il ruolo di innovatrice di Elsa, affermando che le si deve la ricalibrazione del modo di pensare il gioiello e l’inizio di una rivoluzione estetica. Elsa risponde con il suo humor che le sue creature le ha sempre e soltanto immaginate pensando a se stessa e che per ora non ha voglia né di farsi da parte, né di farsi dimenticare. Mi piacciono le cose da indossare che puoi mettere su un tavolo come oggetti d’arte – chiosa. Cose che vorresti tenere per sempre tra quelle tramandate dalla nonna.

Le suggestioni che Peretti esplora per Tiffany & Co. sono unificate da una coerenza stilistica che le rende riconoscibili. Reinventa l’uso dei diamanti, ne valorizza le facoltà più pittoriche e pulviscolari, trasformandoli in pleiadi di minuscoli astri brillanti e gocce di luce, al di là del valore intrinseco. Niente è nuovo – ama ripetere. Le belle forme e le buone linee non hanno tempo, sfuggono alla cronologia. Voglio poter portare un abito per cinque anni, se il design è valido. Nel 1977, alla morte del padre, quasi incredula eredita una fortuna che desidera condividere a fini umanitari. Nel 2000 vara la fondazione a nome del padre Ferdinando, che diventa Ferdinando and Elsa Peretti Foundation nel 2015.

Tiffany & Co., in occasione dei cinquant’anni dalla nascita del bracciale Bone di Elsa Peretti, emblema della sua poetica e caposaldo della Maison – e per festeggiare gli ottant’anni della designer, presentava lo scorso anno un’edizione speciale declinata in nuove sfumature di colore – rosso, blu e verde – e nella versione con pietre dure. All’interno, il bracciale, disponibile da maggio 2020, porta incisa la scritta ‘special edition’. Energia al femminile, l’approccio progettuale di Elsa Peretti si rivela nel modo ergonomico in cui il Bone cuff aderisce alla morfologia del polso. Pensato per il polso sinistro e per quello destro, può essere indossato in coppia, divenendo un tutt’uno con la forma anatomica. In autunno verrà lanciata la versione della manchette arricchita da pietre dure incastonate, omaggio al cosmo naturale. Bone qui annovera varie combinazioni, una dialettica per accordi e contrasti. Si passa dall’argento con giada nera o turchese, all’oro giallo accoppiato allo slancio vitale della giada verde.

Tramite la fondazione che porta il suo nome, Elsa Peretti si dedicava a progetti di sostegno culturale e scientifico, di riqualificazione ambientale e filantropia umanitaria. Programmi volti alla difesa dei diritti delle etnie in pericolo e dei diseredati. In occasione del suo genetliaco raccontava in una sorta di decalogo il suo pensiero rispetto al presente e al futuro dell’uomo, in particolare nel rapporto con la natura e quanto intende fare con le proprie forze. Prevedeva interventi sociali destinati ai più vulnerabili, specie a livello sanitario, ma anche aiuti economici per famiglie che hanno redditi minimi e precari e ai senzatetto, in particolare nelle regioni a rischio del sud italia. L’opera della Fondazione andrà a interessare anche Asia, Sudamerica e Africa. Attraverso la Fondazione Nando ed Elsa Peretti che presiedo, negli ultimi vent’anni abbiamo erogato 54 milioni di euro a diverse iniziative. Mai come ora ho sentito importante il mio ruolo di filantropa. 

Raccogliamo qui di seguito una serie di messaggi per Elsa Peretti, di amici che ne apprezzano il talento.

Valentina Moncada di Paternò, storica dell’arte e gallerista italiana specializzata in arte contemporanea.

Mio padre trovava Elsa simpaticissima. Ammirava il suo talento, il suo modo di essere diretto e autentico ma forse era il sense of humour a legarli. Ridevano molto insieme. Papà prendeva la sua Mehari impolverata e si inerpicava sulla Punta Avvoltore per andarla a trovare nella sua “torre d’avvistamento” all’Argentario. Doveva farle un ritratto. Elsa ‘a du chien’ diceva, e in due minuti era fatto. Molti anni dopo tentai di farli incontrare all’American Academy dove ero Chairman del McKim. In quell’occasione si parlarono a lungo al telefono, ridendo e ricordando molti aneddoti. Papà era già molto malato di cuore. Lei, seppi dal suo braccio destro, voleva andare dal parrucchiere e non sapeva che scarpe mettersi; da tempo adorava solo le Crocks e non le sembravano adeguate. Fu così che ambedue cancellarono l’incontro. Papà mori poco dopo. Elsa si mise in contatto con me e mi propose l’idea di voler sostenere il progetto di ricostruzione dell’archivio di mio padre, Johnny Moncada, fotografo di moda degli anni Cinquanta e Sessanta. In vari scatoloni abbandonati in garage, trovai decine di migliaia di negativi, un’impresa non facile. Senza il sostegno di Elsa e l’impegno contrattuale che presi con la sua Fondazione, l’archivio sarebbe andato in rovina. Da allora, libri, mostre e articoli sono stati realizzati in giro per il mondo, da Londra a Mosca, Roma, Monza, Helsinki, Fort Lauderdale. Il suo lavoro è entrato nella storia della moda e della fotografia. Papà diceva ‘le risate con Elsa mi fanno rinascere’ e così è stato. Grazie Elsa.

Stefano Palumbo, direttore di Nando and Elsa Peretti Foundation Italia e Spagna

Elsa è molto intelligente. Più passano gli anni e più la sua lucida visione del mondo mi risulta chiara e cristallina. Perché è particolarissima, tutta sua, e per questo molto speciale. Sai, il rischio per chi fa il mio lavoro è di diventare un burocrate del politicamente corretto, rilassato e compiaciuto dal plauso dell’establishment del no profit. Con lei questo non è possibile. Ti prende e ti sorprende continuamente e ti porta a pensare in maniera diversa dagli altri. Seguirla è la chiave di tutto. E’ un’altra storia. E sono felice che sia anche la mia.

Guido Torlonia, autore e regista teatrale

Ho incontrato Elsa Peretti grazie a Diana Vreeland. Circa sei anni fa Stefano Palumbo, direttore della Peretti Foundation, mi chiama per dirmi che ‘Elsa’ voleva conoscermi. Dopo pochi giorni mi ritrovo a Barcellona, in un piccolo teatro, seduto accanto a José Carreras e ad Elsa Peretti, stretti su delle panche, ad assistere a un incredibile concerto per sei pianoforti, organizzato dalla Georg Solti Accademia, (venni a sapere in seguito che faceva parte di uno dei tanti progetti finanziati e promossi dalla Fondazione Peretti). La cosa più incredibile era di vedere riuniti sei pianoforti insieme, in uno spazio così ridotto. Ho iniziato cosi a capire che con Elsa tutto è possibile, se lei lo immagina, tutto è realizzabile. Elsa voleva conoscermi per propormi di dirigere, per l’appunto nel suo piccolo teatro, il Teatre Akademia, la versione catalana del monologo su Diana Vreeland ‘Full Gallop’, che avevo diretto anni prima al Teatro Goldoni di Firenze, per Pitti Immagine, con una magnifica Adriana Asti. Mi sono trasferito per un periodo a Barcellona, ed è nato uno spettacolo di grande successo ‘Al Galop’, con un attrice straordinaria, Carmen Elias, che abbiamo ripreso nella stagione successiva, anche nella versione spagnola, per due mesi a Madrid. Elsa ci fece avere i bracciali originali di Kenneth Jay Lane e si è divertita a registrare la voce off di Françoise, fedele assistente della Vreeland nello spettacolo. Così è nata la nostra amicizia e collaborazione, grazie a Diana Vreeland. Da due anni sono diventato il direttore artistico del Teatre Akademia e grazie al sostegno della Fondazione Peretti, siamo riusciti a portare in questo piccolo teatro/gioiello tantissimi spettacoli e grandi artisti, tra cui Isabella Rossellini, Marisa Paredes, Sergio Rubini e Rossy de Palma. Con Elsa mi confronto regolarmente per la scelta dei testi da proporre. Spesso legge i copioni la sera stessa, prende appunti, sottolinea alcune frasi e il giorno dopo li commentiamo, nasce un dialogo, uno scambio di idee, sempre più raro al giorno d’oggi. Ho scoperto che ha un’attenzione particolare per i dettagli. E questo si vede nel suo lavoro artistico, oltre all’estetica e alla modernità delle sue creazioni, c’è una cura maniacale per i dettagli. Anche sul piano sul piano personale, immancabilmente ad ogni mia prima trovo in camerino delle rose del suo giardino, con quel profumo particolare, accompagnate da un biglietto, scritto a mano, con la sua inconfondibile calligrafia, e la sua celebre firma. Sono questi pensieri e questi dettagli che la rendono unica, oltre alla sua immensa generosità La Peretti Foundation, che lei ha creato vent’anni fa in onore di suo padre Nando, sostiene tantissimi progetti dedicati all’ambiente, al benessere, alla protezione dei diritti dell’uomo, alla salute, alla ricerca medico scientifica e al sostegno dell’arte e della cultura. Buon compleanno Elsa, e grazie.

Ralph Rucci, couturier

In Japan they have an honor bestowed on extraordinary individuals. If we were in Japan, and all over the world, Elsa Peretti would have this honor. She would be considered an international living treasure. I am in awe of Elsa – I always have been because she possesses the very rare combination of the most individual chic made even more individual by her simplicity, kindness, and startling vision. She is a woman who has assisted in creating a new notion of beauty for the rest of time. for me, Elsa has been one of the four touchstones in my life, and I adore.

Cesare Cunaccia

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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